1. L’accesso alle immagini delle telecamere comunali
Sempre più spesso, a seguito di un incidente stradale o di un altro evento lesivo, i cittadini si rivolgono al Comune per ottenere copia delle immagini o dei video registrati dalle telecamere pubbliche installate in prossimità di parcheggi, strade o piazze. Si tratta di richieste delicate, che l’amministrazione deve valutare con attenzione, soprattutto quando nelle riprese compaiono soggetti terzi o quando è già in corso un’indagine penale.
In un caso recente, abbiamo affiancato un’amministrazione comunale chiamata a decidere su una richiesta di accesso a immagini di videosorveglianza, presentata da un cittadino coinvolto in un sinistro. Questo intervento ci ha permesso di chiarire quando le immagini possano essere rilasciate, quali cautele adottare e quali limiti impone la normativa, a partire dal necessario equilibrio tra diritto di accesso e tutela della privacy.
2. Il diritto di accesso alle immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza
Ogni cittadino ha la possibilità di chiedere alla pubblica amministrazione di vedere o ottenere copia di documenti amministrativi che lo riguardano, a condizione che dimostri di vantare un interesse personale, concreto e attuale rispetto al contenuto del documento richiesto. Questo diritto, previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, si applica anche nei confronti di enti o società che gestiscono servizi pubblici, quando operano secondo criteri di trasparenza e pubblicità.
Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, anche le immagini registrate da telecamere comunali o da sistemi di videosorveglianza gestiti da soggetti pubblici sono documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22 della legge 241/1990, dovendosi considerare tali “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie […] detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse“.
3. Quando il Comune o il Gestore è tenuto a fornire copia delle registrazioni?
Perché il Comune – o il soggetto gestore del sistema di videosorveglianza – sia obbligato a rilasciare copia delle registrazioni, è necessario che il cittadino interessato formuli una specifica istanza di accesso ali atti, ai sensi della legge 241/1990. Non è sufficiente una richiesta generica o motivata da semplice curiosità: l’istanza deve essere dettagliata e riferita a uno specifico evento.
Occorre in particolare che il richiedente descriva in modo chiaro il fatto per cui chiede le immagini, spieghi quale sia l’interesse concreto e attuale che intende tutelare (ad esempio esigenze difensive, ricostruzione di una dinamica, risarcimento per danni) e indichi con precisione data, orario e luogo della registrazione richiesta. Senza questi elementi, l’amministrazione non è tenuta a rilasciare alcuna copia.
Esempio pratico
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha respinto il ricorso di un cittadino che contestava il diniego della Polizia Locale alla richiesta di accesso alle immagini di videosorveglianza. Il TAR ha rilevato che la richiesta non era stata formalizzata come istanza di accesso ai sensi della legge 241/1990, ma si limitava a sollecitare l’autorità a svolgere accertamenti sul sinistro. In assenza di una vera e propria istanza correttamente formulata, completa degli elementi richiesti dalla normativa, l’amministrazione non era tenuta a rilasciare copia delle registrazioni.
4. Quando presentare una istanza di accesso alle immagini di videosorveglianza?
Chi intende richiedere le immagini registrate da un impianto di videosorveglianza comunale deve agire con tempestività. La maggior parte dei sistemi installati dalle pubbliche amministrazioni o dai gestori di servizi pubblici conserva le registrazioni solo per pochi giorni, in applicazione dei principi di proporzionalità e minimizzazione previsti dal GDPR. Nella prassi, la conservazione non supera quasi mai i sette giorni e, in assenza di specifiche misure tecniche, le immagini vengono sovrascritte automaticamente.
Per questo motivo, l’istanza di accesso ai sensi della legge 241/1990 va presentata il prima possibile, indicando con precisione il giorno, l’orario e il luogo dell’evento. Una richiesta tardiva, anche se formalmente corretta, rischia di essere inutile se il materiale richiesto non è più disponibile. È dunque essenziale che il cittadino – o il suo legale – agisca senza indugio, appena si ha notizia del fatto che si intende documentare.
⚠️ Art. 22, c. 6, legge 241/1990
“6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere. […]”
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5. Cosa deve fare il Comune quando riceve una richiesta di accesso alle registrazioni?
Quando un’amministrazione comunale o un gestore di un servizio pubblico riceve una richiesta formale di accesso alle immagini di videosorveglianza, la prima cosa da fare è evitare che le registrazioni vengano cancellate. I sistemi di videosorveglianza, infatti, sovrascrivono automaticamente le immagini dopo un periodo molto breve, generalmente non superiore a sette giorni. Per questo motivo, è buona prassi “congelare” immediatamente le registrazioni, in attesa di completare l’istruttoria.
Dopo aver messo in sicurezza le immagini, l’ente è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti per accogliere l’istanza di accesso, valutando se la richiesta è sufficientemente motivata, se riguarda un evento concreto e attuale e se contiene gli elementi minimi (luogo, data, orario) per identificare le immagini richieste.
6. L’obbligo di coinvolgere i controinteressati
Quando una persona presenta una richiesta per ottenere copia di immagini registrate da telecamere comunali, può capitare che nelle riprese compaiano anche altri soggetti. È il caso, ad esempio, di chi chiede le immagini di un incidente stradale in cui è coinvolto anche un altro veicolo o una persona identificabile. In queste situazioni, il Comune ha l’obbligo di informare il soggetto terzo – definito “controinteressato” – dell’esistenza dell’istanza di accesso, prima di decidere se accoglierla.
La legge prevede che il controinteressato possa presentare eventuali opposizioni entro un termine, di solito 10 giorni. Tuttavia, il suo parere non è vincolante: se la richiesta serve a tutelare un diritto in sede giudiziaria, il diritto di difesa prevale sulla riservatezza, come previsto dalla legge 241/1990. Questo significa che, anche in presenza di un’opposizione, il Comune può comunque decidere di rilasciare le immagini, purché motivi bene la scelta e abbia valutato tutti gli interessi in gioco.
7. Come deve comportarsi il Comune se accoglie la richiesta di accesso?
Se, a seguito dell’istruttoria, l’amministrazione ritiene fondata l’istanza e decide di accoglierla, è tenuta a rilasciare copia delle immagini di videosorveglianza richieste oppure a consentirne la visione, a seconda dei casi. Tuttavia, prima di procedere, è necessario adottare alcune precauzioni per tutelare la riservatezza dei soggetti terzi eventualmente presenti nella registrazione.
In particolare, il Comune o il gestore del servizio pubblico deve:
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oscurare volti, targhe e altri elementi identificativi delle persone non coinvolte direttamente nel fatto oggetto della richiesta;
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limitare il rilascio esclusivamente alle immagini pertinenti, cioè quelle necessarie a ricostruire la dinamica del sinistro o dell’evento segnalato, omettendo ogni contenuto non strettamente collegato alle esigenze difensive dell’interessato.

8. L’accesso alle videoregistrazioni durante le indagini penali
È prassi diffusa tra le amministrazioni negare l’accesso alle immagini di videosorveglianza quando l’interessato ha sporto denuncia e sono in corso indagini da parte dell’autorità giudiziaria. Si ritiene, erroneamente, che la pendenza di un procedimento penale precluda automaticamente il rilascio delle registrazioni. In realtà, questa prassi non trova fondamento normativo nella legge 241/1990.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito in più occasioni che la presenza di indagini penali non esclude, di per sé, il diritto di accesso ai documenti amministrativi. In mancanza di un espresso divieto dell’autorità giudiziaria, l’ente è tenuto a esaminare la richiesta, tenendo conto del principio – ribadito anche dal Consiglio di Stato – secondo cui il diritto di difesa e l’accesso a documenti utili a tutelarlo non possono essere compressi automaticamente per la sola presenza di un fascicolo penale.
Massima giurisprudenziale
La mera trasmissione degli atti al vaglio del giudice penale, in assenza di un atto di sequestro, non comporta che gli stessi siano coperti da segreto né che questi siano sottratti all’accesso. Infatti “L’esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell’art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell’ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell’amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell’A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l’accesso garantito all’interessato dall’art. 22, 1. 7 agosto 1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 24, 1. n. 241 del 1990”
9. E’ legittimo il diniego giustificato in ragione delle diverse finalità di trattamento?
Alcune amministrazioni respingono le richieste di accesso alle immagini di videosorveglianza sostenendo che tali immagini sono state raccolte per finalità differenti da quelle indicate dall’interessato. È il caso, ad esempio, di impianti installati per finalità di sicurezza del patrimonio comunale o di prevenzione di atti vandalici, in cui si ritiene che le registrazioni non possano essere messe a disposizione dei privati per la ricostruzione di un sinistro.
Si tratta però di un’impostazione superata. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che le finalità originarie del trattamento non limitano il diritto di accesso, se ricorrono i requisiti previsti dalla legge 241/1990. Il fatto che l’impianto sia stato installato per un determinato scopo non impedisce all’ente di valutare l’accessibilità delle registrazioni ai sensi della normativa sull’accesso, soprattutto quando il richiedente agisce per tutelare un interesse giuridicamente rilevante.
10. Quando l’accesso alle telecamere può essere legittimamente negato
Non sempre l’amministrazione è tenuta ad accogliere la richiesta di accesso alle immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza. Anche quando l’istanza è formalmente corretta e riferita a un fatto preciso, il Comune può legittimamente opporre un diniego, purché sia adeguatamente motivato e fondato su ragioni previste dalla normativa.
In particolare, il diniego è giustificato quando le registrazioni non sono più nella disponibilità dell’ente – ad esempio perché sovrascritte secondo le impostazioni del sistema – oppure quando non ricorrono i presupposti previsti per l’accesso documentale, come l’interesse personale, concreto e attuale. Il rifiuto è inoltre legittimo quando le immagini sono soggette a divieti di divulgazione espressamente previsti dalla legge, come nei casi di segreto istruttorio, sicurezza pubblica o altre limitazioni specifiche indicate dall’art. 24 della legge 241/1990. In tutti questi casi, l’ente è comunque tenuto a rispondere entro 30 giorni, fornendo una motivazione chiara, circostanziata e coerente con la normativa vigente.
11. Cosa fare quando il diniego è ingiustificato?
Può accadere che l’amministrazione respinga una richiesta di accesso alle immagini, senza fornire una motivazione adeguata o richiamando ragioni generiche come “la tutela della privacy” o “la presenza di indagini in corso”, anche quando l’interessato ha fornito tutti gli elementi richiesti e ha dimostrato un interesse concreto alla visione del materiale. In questi casi, il rigetto non è conforme alla legge 241/1990, che impone all’ente di motivare in modo puntuale ogni diniego, indicando le norme applicate e il bilanciamento effettuato tra gli interessi in gioco.
Quando il rigetto appare infondato o carente di motivazione, il cittadino ha diversi strumenti di tutela. Può innanzitutto chiedere il riesame della decisione al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) dell’ente, oppure presentare ricorso al TAR entro 30 giorni. Nei casi in cui il diniego si basi su motivazioni legate alla protezione dei dati personali, è inoltre possibile presentare reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, che può ordinare all’amministrazione di riesaminare l’istanza.
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